Di Marco Costantino
Questa settimana, il nostro blog ospiterà i contributi di fantastici amici impegnati su vari, diversissimi fronti, che rappresentano il loro punto di vista sulle tematiche sviluppate da Sagelio: mobilità e turismo sostenibile, etica d’impresa, cambiamento climatico. Il nostro primo contributor è Marco Costantino: cosa possiamo imparare da questa pandemia nella lotta ai cambiamenti climatici?
Marco Costantino, laureato in Economia e Commercio e dottore di ricerca di Geografia Economica, è autore di numerosi articoli sui temi del commercio equo e solidale e dell’economia sociale. Co-fondatore dell’Aps Farina 080 Onlus che gestisce il progetto di lotta allo spreco alimetare “Avanzi Popolo 2.0” – premiato dal Presidente Mattarella con l’Onorificenza al Merito della Repubblica – lavora presso la Sezione Politiche Giovanili della Regione Puglia.
Abbiamo imparato che la sanità, normalmente, non sfugge alle regole del mercato.
L’accesso alle cure può essere paragonato alla domanda di beni soggetti al tradizionale vincolo di bilancio che pone il consumatore difronte a delle scelte fortemente condizionate (e talvolta obbligate) dal prezzo del bene e dal proprio reddito.
Conseguentemente osserviamo differenze rilevanti nell’accesso e nella qualità delle cure sulla base del reddito, analogamente a quanto succede per tutti gli altri beni e servizi a mercato.
L’intervento dello Stato nel settore ovviamente allevia fortemente gli effetti di tali differenze ma non li elimina del tutto, come dimostra ampiamente la letteratura sulla correlazione tra reddito e mortalità (sia direttamente, sia per il tramite dell’istruzione).
Analogamente a quanto avviene negli altri settori merceologici, inoltre, la scelta economica operata dal consumatore è raffigurabile in microeconomia con una funzione di utilità individuale che rappresenta il rapporto tra la nostra soddisfazione e il godimento del bene (in questo caso diremmo tra la salute e la cura) senza che le scelte e i comportamenti degli altri consumatori possano avere un impatto determinante.
L’emergenza sanitaria del momento ci pone però davanti ad una condizione nuova e del tutto diversa rispetto a questo paradigma.
Per un verso, l’assenza di un vaccino e di farmaci, ossia di beni collocabili sul mercato, annulla, o quanto meno riduce fortemente, l’impatto della condizione reddituale sulla possibilità rispettivamente di contrarre (soprattutto) e di curare la malattia (in misura inferiore). I media in questi giorni non mancano di testimoniare infatti come il virus non risparmi calciatori famosi, politici di primo piano, reali, star di Hollywood, a dispetto della loro capacità economica.
Inoltre l’elevata contagiosità del virus pone tutti noi in una condizione di dipendenza reciproca, in cui il comportamento di ciascuno, a meno di una condizione di totale isolamento difficilmente prolungabile oltre un certo periodo, non è sufficiente a garantire il risultato desiderato se questo non viene attuato anche dagli altri.
Combinando queste due osservazioni e considerando anche la diversa morbosità del covid-19 sulle diverse classi di età, potremmo addirittura spingerci a rilevare un effetto dirompente per cui, in un Paese come il nostro che registra una distribuzione della ricchezza fortemente squilibrata verso le classi di età più elevate, paradossalmente siano proprio i più ricchi, essendo mediamente più anziani, a ritrovarsi più esposti al virus, nonostante la propria condizione reddituale, e dovendo per di più fare affidamento sul corretto comportamento di tutti gli altri, compresi coloro che, essendo più giovani e quindi statisticamenti meno esposti, potrebbero anche avere meno interesse ad assumere comportamenti corretti.
Come già rilevato da alcuni osservatori, si tratta di una condizione riconducibile al noto “dilemma del prigioniero”: in una situazione in cui tutti siamo chiamati a cooperare, chi non coopera può egoisticamente avvantaggiarsi del comportamento degli altri, senza gravi rischi.
Tuttavia, se sono in tanti ad adottare la strategia opportunistica, i vantaggi evaporano per tutti, compresi coloro che hanno continuato a cooperare. Tonino Perna utilizzava una metafora analoga per descrivere il dilemma del ciclista: ognuno di noi sa bene che una città in cui tutti usano la bicicletta per gli spostamenti a corto raggio sarebbe più pulita e meno trafficata, tuttavia i vantaggi si materializzano solo se siamo in tanti a scegliere la bicicletta, altrimenti pochi ciclisti si troveranno in pericolo in mezzo al traffico. Opportunisticamente, alla fine, non riuscendo a cooperare per un risultato incerto, continuiamo ad utilizzare l’auto producendo il peggior risultato per tutti.
Data la gravità delle conseguenze, in questo caso le Autorità sono opportunamente intervenute per “forzare” il comportamento cooperativo, introducendo limitazioni alle scelte individuali e sanzioni per i trasgressori.
A queste ultime si è aggiunta una fortissima spinta sociale alla colpevolizzazione dei comportamenti leciti ma ritenuti (a ragione o a torto) non cooperativi, veicolata dai social media e peraltro non sempre totalmente giustificata e ben indirizzata. Nelle varie fasi dell’epidemia abbiamo assistito all’additamento pubblico della comunità immigrata cinese, dei giovani fuorisede di rientro al Sud, dei runner, etc… talvolta con toni anche eccessivi e violenti.
Contemporaneamente però ha anche preso piede un atteggiamento positivo di costruzione di una consapevolezza collettiva, attraverso la proposta di opportunità di socializzazione a distanza o di supporto ai soggetti più esposti.
Molti hanno scelto di mettere a disposizione di tutti le proprie competenze, utilizzando la rete per condividere espressioni artistiche e conoscenze, o hanno materialmente offerto la propria disponibilità a favore del prossimo (dalla spesa per gli anziani, alla produzione artigianale di mascherine, fino alla stampa 3d di valvole per i respiratori).
La scommessa per il prossimo futuro, quando auspicabilmente l’intervento delle Autorità si attenuerà, ma persisterà comunque un consistente rischio di contagio, sta proprio nella scelta tra queste due strade: una repressiva, basata sulla diffidenza reciproca davanti al rischio di opportunismo individualistico, l’altra cooperativa, basata sulla costruzione di nuove forme di contatto.
Le forme di cooperazione che siamo chiamati a costruire oggi con l’estrema urgenza che caratterizza un’emergenza a brevissimo termine potrebbero rappresentare un esempio per affrontare questioni con un orizzonte temporale un po’ più ampio ma non meno gravi.
Per molti versi la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico non si discosta molto dal coronavirus: anche questa, infatti, colpisce chiunque a prescindere dal reddito e anche in questo caso la soluzione passa esclusivamente attraverso un accordo cooperativo in cui ciascuno rinuncia a qualcosa (in termini di consumi) in vista di un risultato collettivo.
Un ulteriore analogia è rappresentata dalla questione generazionale: se la pandemia colpisce più gli anziani, la cui salute è però legata anche alle scelte comportamentali dei più giovani, potremmo dire che nel caso del cambiamento climatico la situazione sia uguale e contraria essendo i giovani più esposti agli effetti più di lungo periodo, la cui gravità dipenderà in larga misura da cosa faranno le generazioni precedenti per impedirli.
In entrambi i casi, oltre ad un livello di cooperazione orizzontale, c’è quindi forte necessità di un patto verticale tra le generazioni, per condividere la responsabilità di scelte decisive per il benessere collettivo.
Nei prossimi mesi scopriremo se questa condizione di emergenza ci avrà portato in dote l’utilità della cooperazione o l’inevitabilità dell’individualismo.
Chissà che, prigionieri del virus, non impariamo finalmente a risolvere il dilemma.
Questo contributo è stato pubblicato originariamente da Marco sul suo profilo facebook. Ci ha successivamente concesso di ripubblicarlo su questo blog.